Amatrice e l’arte di cavalcare il marketing virale


Amatrice e l’arte di cavalcare il marketing virale Da Il Giornale di Rieti di Rosella Vivio del 16-02-2015 - Enogastronomia

Non si scherza con l’Amatriciana. Il mondo con l’amministrazione comunale contro l’aglio in camicia che piace allo chef. Chi sa impari

Ci si può anche scherzare sopra, ma quello che hanno fatto il sindaco Pirozzi e gli altri amministratori comunali di Amatrice,  paese montano della provincia di Rieti, è stato, sotto il profilo del marketing, una mossa azzeccata. Per chi ancora non conoscesse i fatti un breve riepilogo. Carlo Cracco, chef implacabile con gli aspiranti cuochi di Masterchef quando commettono errori, ospite della trasmissione diMaria De Filippi, «C’è posta per te», interrogato sull’Amatriciana, ha rivelato che lui la fa con l’aglio in camicia.   

Non è che sia proprio un peccato grave, e in cucina, come in amore, de gustibus non disputandum est.  Ma per Amatrice la pasta all’Amatriciana è quello che la Coca Cola è per l’America e quello che la Nutella è per l’Italia: un marchio identitario che non ammette variazioni. Se aggiungi o togli qualcosa, sarà pure più buona, almeno per qualcuno, ma non è vera Amatriciana.

Questo, più o meno,  hanno spiegato gli amministratori con un comunicato pubblicato sul sito ufficiale del Comune, ricordando che tre prodotti tipici della Città di Amatrice, il pecorino di Amatrice, il Guanciale Amatriciano, gli Gnocchi ricci, hanno ottenuto il riconoscimento di tutela col marchio De. Co. ( denominazione comunale). Insomma, nemmeno ad un famoso chef è consentita la libertà di usare un nome proprio di ricetta per indicare qualcosa che non gli corrisponde.

Al di là del merito del pronto risentimento  generato dalle parole di Cracco non si può che provare ammirazione per una amministrazione comunale che ha saputo cogliere al balzo una circostanza, di per sé minuta, che poteva anche cadere nel nulla. Invece è stata raccolta e rilanciata con maestria: sono bastati pochi giorni per trasformare in slavina comunicativa la notizia sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali e sui social network come Facebook e Twitter. I commenti all’hashtag #Gracco, errore forse involontario e forse no: tu ci cambi la ricetta e noi ti cambiamo la consonante, sono stati numerosi e babelici: scritti con lingue diverse.

Dall’Inghilterra all’Australia; dalla Francia, alla Spagna, alla Germania,  giornali e food blogger hanno parlato di Amatriciana fatta con guanciale, pecorino, vino bianco, pomodoro San Marzano, pepe e peperoncino. Punto. Insomma, la tradizione è stata difesa dal mondo globalizzato e digitalizzato e la reazione di Amatrice all’incauta variazione di Cracco ha fatto scrivere al The Guardian di Londra â€Italian birthplace of amatriciana denounceschef’ssecret ingredientâ€, la patria dell’amatriciana denuncia l’ingrediente segreto dello chef.

«Italian birthplace», certo, a giocare a favore dell’amministrazione comunale c’è un piatto che ha saputo nel tempo raccontare l’eccellenza italiana nel mondo. Una vetrina di un ristorante giapponese di Tokyo mi rese orgogliosa quando vidi che uno dei piatti di plastica, secondo l’arte del «sampuru», riproduzione del cibo offerto all’interno, rappresentava gli spaghetti all’Amatriciana. Ma negare la capacità di sindaco e amministrazione di cogliere al balzo una occasione per produrre vantaggi al il territorio sarebbe sbagliato.

La prontezza reattiva di Amatrice, infatti, ha scatenato quello che si chiama marketing virale: si frutta la capacità del web di raggiungere una quantità infinita di persone attraverso la diffusione di un messaggio, di una notizia, di un post, di un tweet. È promozione gratuita. In questo caso, promozione territoriale gratuita.

Quando le risorse economiche scarseggiano, l’unica soluzione possibile è sostituirle con l’intelligenza e la vigilanza. E, trattandosi di una amministrazione, con l’unità d’intenti e di «visione». Oltre le divisioni e i recinti politici e di partito.

Giorni fa un amico reatino, piccolo imprenditore con le difficoltà triplicate dai problemi internazionali, nazionali e comunali,  mi chiedeva affranto: «Cosa differenzia, secondo te, Amatrice da Rieti? Si tratta di orgoglio della propria storia e delle proprie risorse che a noi manca? Perché non siamo capaci di difendere il territorio e di valorizzare le tante potenzialità che abbiamo»? Vecchia storia, ricorrenti domande. «Orgoglio e senso di responsabilità verso i cittadini sono leve potenti» , ho risposto, «Perché da noi, a Rieti, manchino io non lo so. Qui si affonda nell’accidia e nell’incapacità di avere una visione comune. Posso dire solo questo».

Ripetere, al solito, che il problema è antropologico, mi è sembrato riduttivo e inutile. Certo è che se fossi negli amministratori comunali reatini proverei ad apprendere da quelli che con una «visione» comune stanno lavorando a fare di un piccolo paese laziale un protagonista globale. Un modello da imitare, sempre se ne abbia voglia e capacità.



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