OFFENDERE UNA COMUNITA’ - DA OGGI SI PUO’.... (MICA TANTO !!!)


OFFENDERE UNA COMUNITA’ -  DA OGGI SI PUO’.... (MICA TANTO !!!) Da Comune di Amatrice di Sergio Pirozzi del 07-04-2015 - Attualità

Nel febbraio 2013, riferendo di un pasticcio organizzativo in campo calcistico, un giornale nazionale titolò: “Il caso Stekelenburg: una farsa all’amatriciana”.

Per l’ennesima volta, la locuzione “all’amatriciana”, che indica un caposaldo della gastronomia italiana senza perdere il significato proprio di “all’uso, alla maniera di Amatrice”, veniva pubblicamente utilizzata come sinonimo di “sconclusionato”. Il Comune di Amatrice portò il caso all’attenzione della magistratura al fine di ottenere considerazione e rispetto per la città. E’ di questi giorni, però, il provvedimento col quale il Tribunale di Roma dispone l’archiviazione del procedimento, sulla base di motivazioni che lasciano perplessi. L’espressione “all’amatriciana”, secondo il giudice, significherebbe “qualcosa di estremamente semplice … che si presta ad evocare ora connotati positivi, quali genuinità e concretezza, altre volte connotati negativi, quali approssimazione, provincialismo ecc”. E fa parte del “gergo comune”; pertanto, anche quando usata nel senso negativo, non risulterebbe offensiva.

Per la precisione, nel provvedimento di archiviazione c’è scritto che l’espressione non sarebbe rivolta alla città, ma alla famosa pasta – quindi nulla gli amatriciani potrebbero obiettare, perché l’offesa, in fondo, non colpisce loro. Con tutta la comprensione per l’intento conciliante del magistrato, il rapporto tra insulti e gastronomia ci sfugge:non c’è nulla di approssimato e provinciale in una ricetta apprezzata in tutto il mondo, nonché risorsa turistico–produttiva di rilevante impatto economico sul territorio. Proprio nell’anno dell’Expo italiana sull’alimentazione, sarebbe ora di mostrare maggiore profondità di analisi.                 

Quale che sia il bersaglio reale – gli amatriciani o la loro pasta – a molti la questione sembrerà di scarso rilievo, meramente terminologica. Le parole, però,a volte diventano sostanza. Lo sanno bene coloro che difendono quotidianamente i diritti di categorie discriminate, che si battono per la parità di genere, che lottano affinché a tutte le persone sia garantita la dignità. Le parole che si usano influiscono sul modo di pensare, sugli atteggiamenti inconsci, sulle convinzioni profonde. Per questo sono importanti, e il vocabolario è diventato un campo di battaglia nella tutela dei diritti. Se lasciamo che si continui pubblicamente a collegare “l’amatriciana” con il provincialismo e l’approssimazione, questi concetti aleggeranno sulla città di Amatrice come una caligine di pregiudizio. Il compianto giornalista Franco Bomprezzi, grande difensore dei diritti della persona, ricordava che “occorre lavorare molto, sulle parole, sulla dignità, sui comportamenti, sulla comprensione e sulla condivisione umana”. Le parole sono al primo posto nell’elenco: perché da quelle nasce il resto. Al contrario del motto latino, in verità, verba manent.

E poi, bisognerebbe anche mettersi d’accordo su questo benedetto “gergo comune”. Se un’espressione di appartenenza etnica, religiosa, geografica (o anche gastronomica…) è stata negli anni trasformata in insulto sulla base di triviali e semplicistiche equazioni ormai superate dalla coscienza civile, per questo dobbiamo trascinarcela appresso in eterno? O non sarà forse il caso di sradicarla – una buona volta – dal linguaggio comune accettato tra persone civili? Perché un amatriciano dovrebbe rassegnarsi al fatto che la sua città (o la sua pasta), di cui è fiero, simboleggi l’approssimazione e il provincialismo? Perché dovremmo arrenderci alla realtà grossolana e stereotipata delle barzellette (c’erano un milanese, un romano e un napoletano…c’erano un cristiano, un ebreo e un musulmano…)?

Quindi no, non ci rassegneremo affatto. Continueremo a difendere il buon nome di Amatrice, dei suoi cittadini e pure della famosa pasta (a proposito: adesso c’è anche un De.Co. da tutelare, col suo valore culturale ed economico: altro che approssimazione e provincialismo). Il rispetto passa dalle parole all’immaginario collettivo, al comune sentire. E l’antica città di Amatrice, con la sua storia millenaria e la sua severa dignità montanara, non permetterà alla volgarità del “gergo comune” di scalfire la sua fierezza.



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