Amatrice, la desolazione a quasi un anno dal sisma: "Ci hanno abbandonati"


Amatrice, la desolazione a quasi un anno dal sisma: Da Leggo di - del 12-07-2017 - AttualitĂ 

La “questione casette” trascina con sé l’altro grande problema di Amatrice del post sisma: la frantumazione del contesto sociale.

“Cosa è cambiato dal 24 agosto ad oggi? Niente”. Decisa è la risposta di una piccola rappresentanza dei cittadini di Amatrice, un paese distrutto dal terremoto circa un anno fa e che ora sembra essere abbandonato a se stesso. “La notte del 24 il mio cane non faceva altro che abbaiare, intorno alle 3 non ce l’ho fatta più e sono scesa in giardino per calmarlo, poi sono tornata in camera, appena mi sono messa a letto ho sentito un grande tuono, rumore di sassi, sono uscita nel giardino e ho visto casa cadermi di fianco, così come le case che stavano intorno, subito dopo sono esplose le grida di chi chiedeva aiuto. La guerra, ecco, credo sia esattamente la stessa cosa”.

Il ricordo di quella notte è una ferita aperta che probabilmente non si potrà rimarginare mai, una delle tante persone terremotate che chiede non venga fatto il suo nome, racconta quella sera nel dettaglio, il sollievo di avere il figlio e il marito lontani dall’epicentro e di saperli salvi, ma tanti altri sono morti: cognata, suocera. “Un terremoto veramente crudele”, aggiunge un’altra terremotata di Accumoli, “Un sisma che ha portato via tanti bambini”, piccole anime che sono state sentite gridare nella notte, bimbi che hanno scritto alle loro madri tramite WhatsApp dalle macerie e che dopo qualche ora non hanno più risposto; bimbi che hanno chiesto ai loro genitori se stavano per morire e gli occhi di quelle mamme e quei papà che non saranno più in grado di vedere altro se non la piccola vita che hanno messo al mondo spegnersi tra le stesse braccia in cui avevano fatto il primo respiro.

La vita però va avanti e con grande fatica, sepolti i morti, si è iniziato a sperare nella ricostruzione. Ma camminando per Amatrice quello che si vede è ben altro: i punti di controllo del post sisma sono stati dimezzati, le macerie sono sempre li e i lavori di rimozione procedono a rilento. “Un giorno in cantiere puoi vedere 2, 3 persone, nei week end non si lavora, perché non si possono fare dei turni e lavorare notte e giorno per dare la possibilità a tutti coloro che vogliono offrirci aiuto di poterlo fare? Con le macerie non ripartirà mai la ricostruzione”, sostiene uno dei cittadini di Amatrice, anche lui aveva la casa in quella che è la zona rossa, molti come lui non hanno ancora potuto recuperare quello che c’era sotto le macerie.

Le casette sono il punto dolente della ricostruzione. Il primo grande problema spiega un piccolo gruppo degli abitanti di Amatrice è che non sono case. Si tratta di piccole abitazioni, tutte uguali, tutte in fila, poggiate direttamente sul terreno, con delle pareti molto sottili: “Se fossero alloggi temporanei andrebbero benissimo, ma il problema è che una ricostruzione vera e propria prima di 10, o magari 20 anni, non ci sarà e quindi ci saranno persone anziane che moriranno in quelle case e bambini che ci diventeranno adulti, ma non sono case in cui crescere o morire”. Come se non bastasse l’aspetto psicologico si guarda anche a quello pratico: “Siamo in una zona di montagna, in autunno inizierà a piovere e questo inverno a nevicare, le casette poggiano direttamente sul terreno e hanno le mura sottili, ci preoccupiamo già del freddo, dell’acqua e della neve che potranno entrare”. Non di minore importanza è il criterio di assegnazione di queste abitazioni: “Comprendiamo la scelta di dare la precedenza a persone in difficoltà, anziani, famiglie con bambini e invalidi, per questo con mia moglie non abbiamo fatto subito la domanda per richiederne una”, spiega un cittadino, “poi però ho visto persone che non conoscevo nemmeno, e io sono nato e cresciuto ad Amatrice, che è un paese piccolo, abitare quelle casette, solo nel week end. In pratica queste abitazioni sono state date a chi ha la residenza ad Amatrice, ma di fatto vive altrove e chi invece non ha più una casa, lavora e vive qui sta in un container”. Poi chiarisce che sono iniziati a tal riguardo i primi controlli della Guardia di Finanza, ma purtroppo il dado è tratto e per mettere le cose in regola ci vorrà comunque altro tempo. “Dopo il sisma ci diedero coperte, dentifricio, spazzolino, tutto il necessario, le persone sono state buone con noi, l’Italia ha dimostrato di essere un Paese tanto solidale, però istintivamente rifiutavo tutto, dicendo a me stessa che tanto sarei tornata presto a casa e che tutto quello che mi stavano offrendo non mi sarebbe servito. Passa il tempo e continui a sperare che presto starai a casa tua, una casa vera, ma questo tempo non arriva mai, non sai mai quando riprenderà la tua vita, il tuo lavoro, la tua routine e questa incertezza ti scoraggia ancora di più ad andare avanti. Noi non sappiamo nulla, non abbiamo idea di quando poter riprendere le nostre cose dalle macerie, dei tempi necessari, di come e quando potremmo avere la casetta”, spiega sua moglie che ammette anche di aver pensato al suicidio, così come altre persone.

La “questione casette” trascina con sé l’altro grande problema di Amatrice del post sisma: la frantumazione del contesto sociale. Quello che fanno gli amatriciani è il confronto con i due sismi, altrettanto catastrofici, precedenti a quello del 24 agosto, L’Aquila e L’Emilia Romagna. “L’Aquila è una grande città rispetto ad Amatrice, universitaria, quindi le persone sono rimaste, oggi ha ripreso la sua vita, con le dovute difficoltà ma la gente non è scappata, così anche in Emilia, ma ad Amatrice la situazione è diversa”, spiega uno dei cittadini, “Noi viviamo in un territorio montano che aveva già prima del sisma le sue difficoltà: il poco lavoro, la collocazione geografica non proprio centrale, molti erano andati già via da Amatrice, tornando magari solo nel week end. Il sisma ha distrutto anche questo: dopo il terremoto hanno mandato via le persone, anche chi voleva rimanere, non si è preoccupato nessuno del contesto sociale, di mantenere punti di aggregazione, iniziative, di far in modo che le persone trovassero il motivo per continuare a stare qui. Ora anche chi ci viveva e lavorava sceglie di andare via, così Amatrice è morta una seconda volta”.

L’amarezza è tanta, ma il dito i cittadini lo puntano verso i sindaci. “Nessuno si confronta con noi, nessuno ci riceve, ci dice quello che dobbiamo fare”, spiega la signora, “Io ho votato Pirozzi, tutti e due i mandati, e gli ho sempre riconosciuto il merito di aver fatto rinascere turisticamente Amatrice, da subito sembrava essere interessato solo alla nostra città, ai nostri morti, ma adesso nessuno ci dice più nulla. I cittadini sono malinformati o disinformati, non sappiamo a chi rivolgerci, non sappiamo come fare. Perché questo sindaco non scende in piazza con noi? Perché non ci guida verso chi di dovere a chiedere l’attenzione che meritiamo?”. Un’altra terremotata di Accumoli lancia dure accuse: “Abbiamo chiesto supporto psicologico, che qualche esperto ci aiutasse a superare questo trauma, lo abbiamo chiesto ai sindaci, ovviamente, ma nessuno ci ha mai dato risposta e questi aiuti non li abbiamo avuti, alcuni si sono rivolti agli specialisti privatamente, ma non è giusto”, poi prosegue, “Ai sindaci è stato anche offerto un aiuto concreto da parte di alcune associazioni, una di queste, ad esempio, ha richiesto di fare una lista dei commercianti che avevano perso le loro attività in modo da poter dare loro dei fondi mirati per metterle di nuovo in piedi, ma nessuno ci ha chiesto nulla, quindi probabilmente i sindaci hanno rifiutato”.

Questa è l’aria che si respira a quasi un anno dal sisma nelle aree terremotate: persone con lo sguardo perso nel vuoto, che si stanno ammalando, che hanno pensato al suicidio, genitori che convivono con il lutto più grande, tutti che continuano a raccontarsi di quella notte, di quelle voci, dei loro morti, delle loro case. Amatrice era uno dei più bei borghi del Lazio, nel corso potevi incontrare persone sorridenti, tutti si conoscevano tra loro, tutti si davano una mano, oggi si vedono solo macerie immobili, strade deserte, nelle vie d’accesso al paese è finito il via vai di auto dell’esercito o dei Carabinieri, la stampa torna solo se qualche autorità viene a far visita. Intanto però il cuore dell’Italia sta rallentando i suoi battiti in quella che sembra un’indifferenza generale che fa più male delle morti.



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