La comune di Capricchia, il paese ripopolato dal terremoto


La comune di Capricchia, il paese ripopolato dal terremoto Da Repubblica di Benedetta Perilli del 21-11-2016 - AttualitĂ 

Dopo il sisma la frazione a dieci chilometri da Amatrice ha 12 abitanti in piĂą. Merito delle strutture donate dai privati che venivano per l'estate e dell'autogestione

AMATRICE - L’anno scorso a trascorrere l’inverno a Capricchia, una delle 69 frazioni che compongono il comune di Amatrice, sono stati in 15. Quest’anno, un sisma devastante e due scosse distruttive dopo, saranno in 22. Numeri che la matematica del terremoto, abituata ad andare in negativo, non conosce bene e, se si considera che in cinque hanno abbandonato il paese dopo il disastro, la quantità di nuovi abitanti sale a più 12.

A oltre 1100 metri di altezza e a 10 chilometri di curve da Amatrice, i 22 di Capricchia vivono in totale autogestione. Tutto quello che hanno è arrivato tramite le donazioni di privati e soprattutto grazie alla Pro Loco Villa Capricchia, l’associazione composta da originari del paese quasi tutti residenti a Roma, che qui tornano durante l’estate facendo salire la popolazione fino a 350 persone. A loro si deve anche l’acquisto di sei casette che entro Natale ospiteranno i 22.

Usciti da Amatrice, là dove l’espressione rasa al suolo ha trovato una efficace metafora visiva, è difficile credere che intorno possa esserci ancora vita. Eppure, lo dicono fonti del Comune e lo conferma anche il prete del paese, ad abitare la zona che includeva le frazioni sono ancora circa 500 persone. Sparsi tra campi e fattorie, in container e roulotte, case ancora agibili e costruzioni improvvisate – come nel caso di altri agglomerati spontanei, dal Campo Cossito a quello di Sant’Angelo - gli amatriciani non mollano il territorio. Per incontrarli però bisogna andare a cercarli.

Arrivati a Capricchia il paese sembrerebbe abbandonato. Solo roulotte e camper parcheggiati all’ingresso dell’abitato fanno sospettare una presenza umana. Per il resto freddo, silenzio e macerie.  La vita si sente solo nell’odore della legna che arde. Superando la chiesa lesionata, spunta una sorta di baita chiara con le porte  a vetri. Dentro due bambini stanno facendo i compiti, una signora taglia delle stoffe verdi, un’altra cuce mentre altre due, piĂą giovani, dipingono.

Nello stanzone, un ambiente unico e caldo con tavoli, sedie, un forno, una stufa, televisore e lavatrice, ad  accogliere chi entra c’è il sorriso di Alessandra. Gestiva un b&b in un paese vicino, è sposata con Virginio che ha un’impresa edile, ed è madre di Martina, 17 anni, liceale del nuovo istituto di Amatrice. Le giornate nello stanzone di questa comune improvvisata dove non c’è ideologia nĂ© politica, ma solo l’urgenza del sopravvivere, le racconta così: “Ogni nucleo familiare ha a disposizione un camper dove trascorrere la notte e sono tutti parcheggiati all’ingresso del paese. L’elettricitĂ  la prendiamo attaccandoci con dei cavi alle nostre vecchie case”, spiega prima di descrivere la loro routine. “Dopo la sveglia si esce dalla roulotte, affrontando il ghiaccio del mattino, e si va nel bagno costruito qui vicino.

Il resto della giornata si trascorre nello stanzone. Si fa colazione tutti insieme e si pensa al pranzo. Nel pomeriggio ci dedichiamo a questi lavori di artigianato, che speriamo di riuscire a vendere per Natale, e poi è di nuovo tempo di mangiare”. La sera è il momento del quale parla con più serenità. “Abbiamo la televisione e internet ma dopo cena preferiamo parlare. C’è chi racconta le sue storie magari anche i ricordi della vita di prima, perché quella vita comunque non ci sarà mai più. Ma stiamo anche con i bambini, facciamo giochi di società, leggiamo. E chi se le ricordava più queste cose”.

Dal rumore del trapano di Bibi, militare dell’aereonautica che lavora all’eliporto di Amatrice e nella comune vive con la compagna e i figli di 15 e 11 anni, spunta la voce della signora Rossella. Abita nella roulotte con il marito Sabatino, quasi 80 anni, e poco più in là c’è anche il figlio Pietro, allevatore ancora in attività, la moglie Lucia, impiegata del comune, e i figli Silvia e Filippo, di 7 e 9 anni. “Sto bene in questa nuova comunità, ce la metto tutta per arrivare ad aprile, quando ci daranno le casette, e lo faccio anche per ringraziare tutti quelli che ci hanno aiutato. Il terremoto ci ha cambiato il carattere, siamo più forti, più buoni, più umani, meno egoisti. Per il momento questa è la mia casa, non saprei dove altro andare, e io sono ancora viva. Perché dovrei lamentarmi?”.

A completare l’elenco dei 22 ci sono Arcangelo, un anziano allevatore che vive ancora nella casa agibile; Alessandro, allevatore sulla trentina che ha perso tutto nella frazione di Moletano e ora aiuta l’amico Pietro; c’è Massimo, 60 anni circa, abitava già a Capricchia; c’è la famiglia Puglia, con il padre Nunzio, pensionato, la moglie e le figlie Antonella e Simona, che lavora ancora al salumificio locale ed è sposata con Luca, militare ancora in attività con il quale ha una figlia di 7 anni e infine c’è la signora Santina che ad Accumoli ha perso la figlia, due nipoti e il genero. Non vuole rispondere a nessuna domanda. Sta bene, dice, mentre abbassa lo sguardo dolce sui punti della macchina da cucire.

“Siamo una comunità perché comunità vuol dire condividere tutto, e qui condividi tutto: gioia, cibo e dolore”, aggiunge Alessandra spiegando che la convivenza non è sempre facile e che tolleranza e forza di volontà in questa esperienza abitativa non possono mai mancare. Solo qualche metro più in là dallo stanzone, un cartello indica “Vicolo della felicità” e sono almeno in 22 qui quelli che sperano di tornarci presto.



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