Documenti: Curiosità , Poesie, racconti, favole e....
La verità sulla sequenza sismica nei Monti della Laga secondo la scienza ufficiale nella Relazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: lo sciame in atto il 16-17 dicembre 2011 svela la dinamica delle forze in gioco.
Gli studiosi vogliono capire l’origine dei processi delle placche tettoniche.
di Nicola Facciolini
“Il vuoto di Hawking
è in realtà
un pieno di leggi fisiche”(Marco Bersanelli). A 34 mesi dal
disastroso sisma di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti; 1600 feriti),
l’unica lezione finora impartita da quel drammatico evento non
sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli
effetti delle catastrofi naturali come avviene in tutti i Paesi
civili del mondo. Le nostre città, infatti, sono molto esposte
alle tragedie naturali.
Le
tredici raccomandazioni della
International Commission on Earthquake Forecasting for Civil
Protection
per salvarsi dal terremoto,
espresse dagli scienziati di tutto il mondo all’indomani del
sisma aquilano, attendono di essere applicate. La situazione sismica
italiana è nota (www.emsc-csem.org)
ma l’occhio è sconcertato alla vista di una città
come L’Aquila diventata un cumulo di macerie, parafrasando
Robert
Mallet
(1862). La città capoluogo della Regione Abruzzo (se il Big
One fosse accaduto in California, è come se fosse venuta giù
la capitale Sacramento) non c’è più, bisogna
ricostruirla daccapo per tornarci a vivere subito non tra 50 anni.
La
città di Teramo, un giorno, sarà distrutta da un
improvviso e violento
terremoto superiore a quello di 309 anni
fa?
Impossibile prevederlo. La
sequenza sismica che si è attivata il 16-17 dicembre 2011
nell’area
della provincia di Teramo, presso i comuni di Torricella Sicura,
Cortino e Campli, è oggetto di studio. La sequenza è
iniziata con un terremoto di magnitudo Richter locale pari a 3.2
(alle ore 23:28 GMT del 16 dicembre) ed è proseguita con
numerose scosse durante la notte. La Relazione ufficiale
dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, rivela che
in quelle prime ore sono stati localizzati 21 terremoti, il più
forte dei quali ha avuto magnitudo locale pari a 3.4 avvenuto alle
ore 03:04 GMT del 17 dicembre 2011. Tutte le altre scosse hanno avuto
magnitudo minore di 3. La distribuzione della sequenza sismica mostra
che l’area molto ristretta dove i terremoti avvengono a
profondità comprese tra i 15 e i 20 km, “non è
stata interessata da importante sismicità nel corso degli
ultimi anni”. Dal catalogo “Iside.rm.ingv.it” si
evince che la sequenza è stata la prima nell’area
dall’anno 2005. Le zone adiacenti, a nord e a sud, sono state
interessate dal 2005 da numerose sequenze sismiche, anche rilevanti
come durata e magnitudo massime (come la sequenza sismica nel fermano
con due eventi di magnitudo 4.0 del gennaio 2010).
La scossa delle ore 03:04 è
stata la più forte registrata dal 2005 nell’intorno di
15 km dal suo epicentro. L’area della sequenza interessa un
settore della catena Appenninica meno attivo della parte a ovest,
dove storicamente si sono concentrati i terremoti più forti
dell’Appennino. Le informazioni storiche derivano dal catalogo
storico denominato CPTI04 (Gruppo di Lavoro CPTI, 2004, disponibile
sul sito:http://emidius.mi.ingv.it/DBMI04/).
Dalla distribuzione degli epicentri dei terremoti storici avvenuti
nell’area, si osserva che non sono avvenuti rilevanti terremoti
nel passato e l’unico entro i 20 km dall’epicentro è
il terremoto del Gran Sasso del 1950 di magnitudo stimata pari a 5.7;
naturalmente gli scienziati evidenziamo come la sismicità
maggiore si concentri verso l’asse della catena Appenninica. La
storia sismica della Città di Teramo, mostra che la massima
intensità è stata osservata per il terremoto del
Febbraio del 1703 ed è stata pari all’VIII MCS, mentre
tutti gli altri terremoti hanno provocato danni minori. Tutte le
conoscenze scientifiche al momento disponibili sono riassunte nella
Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale (GdL
MPS, 2004; rif. Ordinanza PCM del 28 aprile 2005, n. 3519, All. 1b)
dalla quale si rileva che l’area è a medio-alta
pericolosità. “I
terremoti del Teramano, come quelli dell’Ascolano, del
Chietino, di Ancona e di tutto il margine adriatico-padano a Nord-Est
del crinale appenninico – fa notare il professor Antonio
Moretti dell’Università di L’Aquila – sono
tutti localizzati a profondità comprese tra 15 e 30 km ed
anche quest’ultimo non fa eccezione, mentre quelli aquilani, ed
appenninici in genere, sono a circa 10 km”.
Per
quale motivo?
“Questo perché i
terremoti appenninici sono legati a faglie dirette tipo "graben",
mentre quelli esterni sono dovuti al piegamento ed allo
sprofondamento della crosta adriatica sotto la catena
appenninica”.
Quali sono le
conseguenze?
“Dal punto di vista
geologico la questione funziona così: la crosta (o meglio la
litosfera) adriatica si piega ed "affonda" nel mantello,
richiamando la catena appenninica verso il mare Adriatico, che piano
piano (1-2 cm/anno) si sta così chiudendo. Questo movimento a
sua volta causa una serie di "rotture" nella catena (i
"graben" e le relative faglie) che danno luogo sia alle
vallate come quelle aquilane sia ai relativi terremoti”.
Nel
versante adriatico teramano cosa accade?
“I
terremoti esterni, adriatici, si formano invece per compressione
nella zona di piegamento; in pratica sono legati ai movimenti che
"ricaricano" le molle sismiche della catena
appenninica”.
Quali energie possono
liberare?
“Dal punto di vista del
rischio possono essere anche di energia simile a quelli appenninici
(m=5.7 quello del teramano-Gran Sasso del 1950), ma il fatto di
essere più profondi fa sì che l’energia di
distribuisca su di un’area più vasta, con minore
scuotimento relativo. Quindi in genere l’area interessata è
più ampia e minore l’intensità al sito
(Mercalli). Tuttavia, non è impossibile che si verifichino
terremoti anche forti nel teramano ed in aree adiacenti, ma, come
storicamente verificato, mai così distruttivi come quelli
aquilani”.
Su
che tipo di strato poggiano le “zattere” crostali della
Terra?
E perché si muovono
incessantemente generando deformazioni e terremoti?
A queste domande tentano di dare una risposta i quattro
lavori: due in pubblicazione su ELSEVIER e due recenti lavori
pubblicati su “Physics of the Earth and Planetary Interiors”
e “Tectonophysics” da ricercatori dell’Ingv in
collaborazione con il Dipartimento di Scienza della Terra
dell’Università di Roma La Sapienza, il Dipartimento di
Scienze della Terra dell’Università di Trieste, il
Geodetic and Geophysical Research Institute di Budapest, l’Istituto
Geodetico di Stoccarda e l’Istituto di Geofisica
dell’Università di Karlsruhe.
Quali caratteristiche della
astenosfera hanno evidenziato le ricerche degli scienziati?
“Come è noto – afferma Federica Riguzzi,
ricercatrice dell’Ingv e firmataria dei lavori scientifici –
secondo il modello della tettonica a placche, la parte più
esterna e solida della superficie terrestre, detta litosfera, avente
uno spessore di circa 80-100 km, poggia su uno strato più
caldo e viscoso chiamato mantello. Ma tra i due strati ce n’è
uno intermedio, a bassa viscosità, detto astenosfera che è
in grado di disaccoppiare in maniera non omogenea il movimento delle
placche dai moti convettivi del mantello. In un primo lavoro
pubblicato su Physics of the Earth and Planetary Interiors, viene
mostrato un modello analitico nel quale delle onde di lungo periodo,
quali ad esempio le maree solide terrestri (cioè le
deformazioni della crosta terrestre indotta dalla Luna e dal Sole ),
possono permettere un movimento relativo tra litosfera e astenosfera
anche di 10 cm/anno se tra i due strati si raggiunge una forte
differenza di viscosità”.
Che
relazione sussiste tra i movimenti su grande scala della crosta
terrestre e quelli delle faglie che scatenano i terremoti nelle aree
ad alta sismicità?
“Le aree
maggiormente sismiche sono concentrate principalmente sui margini di
placca, tuttavia è possibile vedere che la distribuzione
globale dei grandi eventi sismici non è casuale, ma sembra
modulata anche dalla rotazione della Terra, e gli “slab”
(i margini in subduzione) non sembrano avere un ruolo energetico
importante nel moto delle placche. Infatti i grandi terremoti
avvengono più frequentemente in zone equatoriali, le
distribuzioni di energia sismica e numero di terremoti sono
simmetriche rispetto all’equatore e diminuiscono verso le aree
polari, come viene mostrato nel secondo lavoro, in pubblicazione su
Tectonophysics”. Il quadro generale dello scontro fra la placca
africana e quella europea, ad esempio, è molto più
complesso di quanto si possa immaginare. In realtà proprio in
corrispondenza delle nostre regioni meridionali, la semplificazione
delle due placche che si scontrano non è più
soddisfacente, poiché i geofisici hanno potuto individuare e
descrivere una molteplicità di microplacche con movimenti e
interazioni particolari.
Il puzzle
diventa ancora più sfaccettato nella nostra regione calabra
dove, grazie a una ricerca recente condotta da Fabio Speranza e
Patrizia Macrì (dell’Ingv di Roma) assieme a colleghi
dell’Università di Padova (“Paleomagnetic evidence
for a post-1.2 Ma disruption of the Calabria terrane: Consequences of
slab breakoff on orogenic wedge tectonics”) e pubblicata dalla
rivista “Geological Society of America Bulletin”, si è
potuto scendere in dettagli sinora sconosciuti. Nell’area
collinare compresa tra le cittadine di Crotone e Catanzaro, sulle
splendide coste del mar Ionio, sono state individuati grazie a
rilievi paleomagnetici quattro blocchi di crosta terrestre che hanno
subito distinti movimenti rotazionali: due di essi hanno subito una
rotazione antioraria avvenuta negli ultimi 1.2 milioni di anni, altri
due una rotazione oraria. Secondo gli studiosi è la prima
volta che sono stati identificati blocchi a rotazione antioraria
nella Calabria, che in base a vari altri studi paleomagnetici
sembrava aver ruotato in senso orario come un unico blocco rigido tra
uno e due milioni di anni fa.
Secondo Fabio
Speranza, primo firmatario del lavoro, “per effettuare il
nostro studio abbiamo preso molti campioni di rocce nella zona di
Crotone, e quindi ne abbiamo misurato la direzione di magnetizzazione
nel laboratorio di paleomagnetismo dell’Ingv di Roma,
principale laboratorio italiano ed uno dei migliori a livello
mondiale.
Le rocce quando si formano
registrano (tramite minerali magnetici che si comportano come
minuscole bussole) la direzione del campo magnetico terrestre, che
sappiamo essere mediamente diretta verso il nord geografico. Se la
direzione di magnetizzazione che misuriamo oggi nei campioni non è
più diretta verso il nord, vuol dire che quel blocco crostale
è stato ruotato dopo che i sedimenti da noi analizzati si sono
deposti. Il paleomagnetismo già negli anni ’60 del
secolo scorso ha rappresentato una delle principali prove a supporto
della teoria della tettonica a placche, perché ha mostrato che
tutte le principali placche del pianeta hanno ruotato e si sono mosse
nel corso dei milioni di anni. I movimenti da noi ricostruiti sono
molto recenti, perché sono stati osservati su sedimenti che
hanno solo 1.2 milioni di anni, un tempo geologicamente molto
recente. Questo ci fa ipotizzare che queste rotazioni possano essere
ancora attive oggi, e legate ad alcune
faglie trasversali che stanno ulteriormente frammentando la
“microplacca” della Calabria”.
Come si
giustifica questa discordanza in un quadro generale che vede lo
“stivale” della penisola italiana muoversi verso i
Balcani con una prevedibile chiusura del Bacino Adriatico?
“Già sapevamo in realtà da altri studi
geofisici che la parte della penisola italiana che si muove verso i
Balcani non comprende la
Calabria, che ha un movimento più complesso e si muove in
parte verso lo Ionio. Il nostro studio mostra che anche all’interno
della Calabria non c’è un movimento omogeneo. È
la dimostrazione ulteriore che il Mediterraneo è un vero
puzzle, composto di “tessere” crostali anche
piccolissime, che probabilmente non abbiamo ancora identificato del
tutto”. Nel frattempo il professor Domenico
Giardini ha
rassegnato le dimissioni con una lettera al Ministro Profumo. Lascia
tra un mese la presidenza dell’Ingv dopo appena 100 giorni.
Nella newsletter ufficiale dell’Ingv ne spiega le motivazioni,
sottolineando come questo non sia un momento di crisi istituzionale
per l’Ingv. “Sono passati i famosi cento giorni da quando
ho iniziato come Presidente all’Ingv – spiega il prof.
Domenico Giardini – e sono stati per me giorni densi di
negoziazioni, apprendimento, soddisfazione, frustrazione, ascolto,
molte scoperte e nuove amicizie.
Ci
siamo mossi in un periodo non facile, con il cambio di governo e dei
punti di riferimento al MIUR, il nuovo rigore finanziario e i rapidi
cambiamenti che sconvolgono la nostra società. In questi cento
giorni abbiamo fatto tanto. Abbiamo ripianato il bilancio, assicurato
importanti progetti, nominato il Consiglio Scientifico, assicurato la
copertura del personale precario per il prossimo anno, terminato la
convenzione esistente e completato il nuovo Accordo-Quadro decennale
con il DPC. Abbiamo condotto un’approfondita consultazione del
personale sui regolamenti, che sono ora in una forma molto avanzata e
potranno essere completati nel nuovo anno con una ulteriore
consultazione con il personale. Questi elementi permettono di
guardare positivamente al 2012 e alla fase di ristrutturazione
dell’ente che segue l’approvazione dei nuovi regolamenti.
Purtroppo non é risultato possibile trovare un punto di
accordo tra la normativa italiana e svizzera che mi possa consentire
di continuare con la posizione di Presidente dell’Ingv. Mi
preme sottolineare che fin dai primi contatti con il responsabile
ricerca del MIUR e col Ministro Gelmini avevo rimarcato le possibili
difficoltà amministrative legate alla mia posizione.
Tutte le possibili soluzioni
amministrative sono state esplorate, e in questi mesi abbiamo avuto
fasi alterne in cui tutto sembrava risolto, e altre dove eravamo
vicini a un punto di abbandono. Il parere definitivo della Funzione
Pubblica – rivela il prof. Giardini – non consente però
di continuare oltre e ho inviato al Ministro Profumo la mia lettera
di dimissioni da Presidente dell’Ingv a fine anno (2011, NdA).
Come potete capire, é stata una decisione molto sofferta.
Questi mesi sono stati molto intensi, per me, per la mia famiglia e
per tutti quelli che lavorano con me in Italia e Svizzera. Ho
lasciato la direzione del Servizio Sismico Svizzero e ho dedicato le
mie energie all’Ingv. Ho scelto di rimanere quasi recluso in
ufficio, e non ho attivato tanti possibili contatti, perché
non ero ancora sicuro di poter rimanere. Non c’é stato
il tempo in questa fase iniziale di visitare tutti, ho molto
trascurato le sezioni di Roma e altre sezioni, e me ne scuso. Ora é
giusto che l’Ingv abbia un Presidente stabile. Questo non é
un momento di crisi istituzionale per l’Ingv, come qualcuno ha
commentato. Il nuovo Statuto, il ruolo attivo del CdA e l’ottima
gestione delle Sezioni garantiscono il pieno funzionamento dell’ente.
Il Ministero ha assicurato procedure rapide per la nomina del nuovo
Presidente e la Protezione Civile offre il massimo supporto.
L’Ingv é
uno dei massimi enti di ricerca al mondo nel suo settore, e può
dare un contributo importante e concreto in questa delicata fase di
ricostruzione del sistema Italia, nei settori di dominio
istituzionale quali il rischio terremoti e vulcani, come anche in
settori chiave per lo sviluppo economico del paese, quali le
infrastrutture, le risorse energetiche, la sicurezza, i cambiamenti
climatici e lo sviluppo sostenibile delle aree urbane. L’Ingv é
un ente molto solido, e non deve avere paura di niente.
In futuro rimarrò comunque vicino quanto possibile e in
stretta collaborazione con l’Ingv. È stato per me un
onore e un punto di arrivo servire come Presidente dell’Ingv e
mi dispiace non poter continuare. Ci lascio il cuore”. La
“roadmap” per la messa in sicurezza del sistema Italia è
stata tracciata, a sei mesi esatti dal disastroso sisma di L’Aquila.
Ora spetta ai politici, agli amministratori locali fare la loro
parte: ognuno si assuma le proprie responsabilità. La scienza
dice che esistono “vere” previsioni di un terremoto solo
ed esclusivamente mediante la probabilistic
seismic hazard analysis.
Un giorno, forse, in tv e sul web
avremo la stessa straordinaria precisione delle attuali previsioni
meteo. Ma oggi la notizia è un’altra: la probabilità
sismica funziona, meglio di qualsiasi fittizia certezza favolistica.
La previsione probabilistica (quake
forecasting)
dei terremoti è non solo possibile ma anche utilizzabile ai
fini della prevenzione del rischio sismico in Italia. Lo è
oggi, a maggior ragione, grazie alle tredici linee-guida offerte per
la prima volta al mondo dagli scienziati della
International
Commission on Earthquake Forecasting for Civil Protection
riunita a L’Aquila dopo il disastro. La previsione
probabilistica “illumina” letteralmente le aree che
saranno colpite da un sisma, dispiegando tutta la sua efficacia nel
range
tra 1 e zero, come spiega Warner Marzocchi dell’Ingv. Si è
capito che bisogna interfacciare armonicamente i dati di probabilità
sismica acquisiti da vari istituti di ricerca in Italia e nel
mondo.
Anche gli studi sulle predizioni
deterministiche vanno potenziati e servono chiari protocolli
d’intervento per la Protezione civile, da realizzare in tre
fasi insieme ai
social
scientists,
per favorire una
rigorosa, sana e utile informazione alla popolazione.
È quanto
emerso dal quarto Summit G10 del gruppo indipendente di sismologi,
chiamato da tutto il mondo a studiare in Abruzzo il terremoto di
L’Aquila. Ricordiamo che l’incontro si svolse al Centro
operativo di Coppito (Aq) dal 30 settembre al 2 ottobre 2009. La
Commissione era composta da dieci scienziati, specializzati in
sismologia e geofisica, ai vertici delle università e centri
di ricerca più importanti del mondo: Tom
Jordan,
presidente del gruppo di lavoro, direttore del Southern California
Earthquake Center (SCEC) e professore di Earth Sciences alla
University of Southern California a Los Angeles, Yun
Tai Chen,
professore di geofisica e direttore onorario dell’Istituto di
Geofisica della China Earthquake Administration,
Paolo
Gasparini
dell’Università Federico II di Napoli, Raoul
Madariaga
della Scuola Normale Superiore di Parigi, Ian
Main
dell’Università di Edinburgo, Warner
Marzocchi,
dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia (Ingv), Gerassimos
Papadopoulos
dell’Osservatorio Nazionale di Atene, Guennadi
A. Sobolev,
direttore del Dipartimento di Catastrofi Naturali e Sismicità
della Terra dell’Accademia Russa delle Scienze a Mosca,
Jochen
Zschau
dell’Università di Potsdam e Koshun
Yamaoka
della Nagoya University (Giappone).
Gli studiosi hanno redatto un Report
ufficiale inequivocabile: la previsione probabilistica, con relativo
errore, è la via maestra non solo per prevedere l’energia
e gli effetti dei terremoti sul territorio; le sequenze sismiche
possono accelerare la sismicità ma al momento la comunità
scientifica internazionale non è in grado di distinguere le
“scosse di preavviso”. La previsione a breve-termine
permette di identificare le aree dove più probabilmente
avverranno gli “aftershock” più forti, e con che
probabilità essi si manifesteranno. L’Ingv sta fornendo
ogni giorno stime di questo tipo alla Protezione civile: è
la prima volta al mondo che ciò viene fatto durante una crisi.
Tredici sono le
“raccomandazioni” degli scienziati, tra cui quelle
indirizzate al Dipartimento della Protezione Civile (DPC) che, tra
l’altro, è chiamata a: continuare a seguire l’evoluzione
scientifica delle previsioni sismiche probabilistiche, per sviluppare
le infrastrutture e le competenze necessarie a creare dalle
informazioni scientifiche, chiari protocolli operativi; coordinare
il flusso di dati provenienti da rilevanti istituti di ricerca
italiani, per migliorare la risoluzione delle previsioni
probabilistiche; offrire particolare attenzione all’analisi dei
dati in tempo reale, alla creazione di cataloghi e mappe sismiche di
alta qualità; a favorire la ricerca sui terremoti nei
“laboratori naturali” italiani.
La
ricerca di base deve essere focalizzata alla comprensione scientifica
dei fenomeni sismici e alla loro previsione che deve essere
chiaramente parte di un programma nazionale di ricerche.
La scienza è
libera (lo dice la Costituzione italiana, chiunque può offrire
il proprio contributo) ma poi i dati e le scoperte vanno dimostrati
alla comunità scientifica internazionale. La Protezione civile
ascolterà l’unica voce della scienza ufficiale. Forse in
pochi ricordano che lo speciale G10 di sismologia (costituito il 12
maggio 2009) nacque allo scopo di fornire periodicamente lo stato
attuale delle conoscenze sulla prevedibilità dei terremoti e
indicare delle linee-guida per poter utilizzare al meglio le
osservazioni scientifiche sui fenomeni sismici. I progetti, quindi,
vanno interfacciati senza scadenze di “target”: abbiamo
un catalogo sismico di oltre 45 anni da inserire ed elaborare nei
computer.
Fare
previsioni a lungo termine sul verificarsi dei terremoti, non
necessariamente dopo uno sciame sismico come quello precedente
all’evento del 6 aprile 2009, è una valida realtà
scientifica immediatamente utilizzabile ai fini della prevenzione del
rischio sismico.
Oggi non servono le favole e ulteriori “certezze”
matematiche probabilistiche e/o deterministiche per salvare vite
umane, ossia per costruire finalmente edifici solidi a misura di Homo
Sapiens Sapiens, in
un ambiente a forte sismicità come l’Abruzzo. Non
esistono metodi per prevedere terremoti a brevissimo termine: nessuno
è in grado, prima di un evento sismico, di specificare il
luogo, il momento e l’intensità del terremoto con un
cerchio di errore apprezzabile, cioè utile per allarmi e
pre-allarmi selettivi.
Ma a che servirebbe se poi
non siamo in grado di salvare vite umane con la prevenzione?
Uscire fuori di casa al momento giusto, per beccarsi un
cornicione o una tegola in testa, non è una buona idea; come
impraticabile risulterebbe la prospettiva di “trasferire”
milioni di cittadini in campagna o al mare, al primo allarme! È
questo il cuore
del risultato dello studio condotto dalla commissione di dieci
esperti internazionali, chiamati per la quarta volta dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri e dall’allora capo della Protezione
civile a fare il punto sulla sismicità abruzzese. Viviamo in
una realtà quantistica
fondata anche sul principio di indeterminazione di Heisenberg. Non
possiamo, cioè, conoscere tutto di tutto e di tutti con
certezza assoluta, cioè senza il delta dell’errore.
Neppure le coordinate spazio-temporali di un terremoto, di un impatto
cosmico, di un’alluvione, di un maremoto o di una frana. E,
questo, anche in futuro. La logica matematica non è
un’opinione e la Natura vincerà sempre! Ma possiamo
sempre anticiparla. La semantica è altrettanto importante:
“forecasting”
e “predictions”,
sono termini in lingua inglese, che non vanno confusi. La società
civile sia consapevole del fatto che solo un’accurata
conoscenza diffusa delle questioni probabilistiche (eppure le
scommesse legali sono molto in voga, si gioca al Superenalotto e al
Gratta&Vinci pur sapendo di far vincere il Banco!) anche in
sismologia, è la chiave essenziale per salvare vite umane, a
cominciare dalla nostra.
Meglio la probabilità
o il cieco determinismo?
Una questione la
cui natura non è affatto di pura lana caprina o, se preferite,
sibillina come l’uovo di Colombo. Non sarà mai possibile
fare previsioni sui terremoti a breve termine, azzeccando città,
energia liberata, tempo, ipocentro ed epicentro. Il G10 di sismologia
a L’Aquila, ha effettuato un monitoraggio dei fattori
precursori e non è stato possibile arrivare ad una diagnosi
certa su quando, come e dove un terremoto si verificherà. È
stata fatta chiarezza sui “fattori precursori”, cioè
su tutti quegli eventi fisici che possono (non necessariamente)
precedere un sisma. Il susseguirsi di scosse, la presenza di gas come
il radon e il thorio, i mutamenti nei campi elettromagnetici, i
fenomeni acustici e visivi. Le centinaia di migliaia di vittime dei
terremoti e dei maremoti negli ultimi otto anni sulla Terra,
dimostrano chiaramente i limiti dell’uomo. Tuttavia gli
scienziati ritengono che le previsioni a lungo termine siano oggi le
più affidabili.
Il G10 aquilano ha inviato alla
Protezione civile, un’importante raccomandazione: è
necessario creare e valorizzare una struttura di esperti che possa
eseguire un’analisi dei modelli previsionali, in modo da
fornire sempre nuovi e completi elementi alle istituzioni ed alla
società civile. Nulla deve essere segreto. La previsione a
lungo termine consente di avere informazioni
sul luogo, sulla magnitudo e sulla frequenza di un sisma.
Indispensabile è una mappatura ad alta risoluzione sia del
territorio sia degli edifici per renderli tutti antisismici,
informando tempestivamente la popolazione sul da farsi,
intensificando le esercitazioni di massa e predisponendo vie di
comunicazione e centri logistici attrezzati ed operativi H24
facilmente accessibili. L’attività sismica sulla Terra
non sarebbe in aumento. Le ricerche relative ai precursori sismici
non avrebbero avuto esiti rilevanti: il
G10 ha studiato i precursori sismici che però non hanno
consentito previsioni a breve termine, ossia non hanno aggiunto nulla
al quadro delle attuali conoscenze.
La ricerca sui precursori deve però proseguire. È
semmai importante creare una struttura di ricerca regionale per
analizzare modelli previsionali grazie a computer di ultima
generazione.
Lo studio delle
previsioni probabilistiche negli ultimi dieci anni ha fatto passi da
gigante in Italia, come rivelano le analisi delle sequenze sismiche
effettuate da centinaia di ricercatori dell’Istituto nazionale
di geofisica e vulcanologia, rappresentati nel G10 dallo scienziato
Warner Marzocchi. Il quale ci ha sempre ricordato nei suoi interventi
che “il fenomeno dello sciame sismico viene studiato attraverso
modelli matematici ETAS fondati sul fatto che ogni terremoto può
generare altri terremoti seguendo regole predeterminate. Tale
capacità, che è funzione della magnitudo, decade nello
spazio e nel tempo con leggi di potenza simili al decadimento
spaziale co-sismico e alla legge temporale di Omori”. Gli
esperti del G10 hanno registrato che i terremoti tendono a
raggrupparsi: la presenza di repliche aumenta la probabilità
di nuove scosse, ma i terremoti che si sono riscontrati in questo
periodo a L’Aquila, “rientrano nella normalità e
stanno scendendo di intensità”.
Le
sequenze sismiche possono accelerare la sismicità ma la
comunità scientifica non è in grado di distinguere la
scossa preliminare, che può storicamente in genere precedere
sugli Appennini un evento di grande intensità, dalla normale
attività sismica. Gli sciami sono frequenti ma non sono sempre
legati a terremoti forti e gli eventuali aumenti di probabilità
sono comunque molto limitati. “La scossa di aprile 2009 ha
aumentato il rischio di terremoti forti nella zona limitrofa –
ricorda Warner Marzocchi – ma si tratta comunque di probabilità
basse. Per noi non sarebbe una sorpresa se a L’Aquila si
verificasse un’altra scossa perché i terremoti
tendono a
clusterizzare,
a raggrupparsi: le
probabilità però sono spalmate nel tempo, non si
possono fare stime per il singolo giorno.
Posso dire che c’è una probabilità del 25% che in
Abruzzo si verifichi una scossa di magnitudo pari o superiore a 5 nei
prossimi dieci anni. Se parliamo del prossimo mese la probabilità
scende all’1%-2 %”.
Per
quanto concerne gli eventuali legami del terremoto del 6 aprile con
terremoti del recente passato, gli esperti del G10 li escludono. La
faglia di Paganica, con la scossa del 6 aprile, avrebbe scaricato
solo una minima parte dell’energia potenziale ma è poco
conosciuta. Resta il fatto che gli scienziati del G10 non si
pronunciarono mai su quanta energia fosse stata rilasciata e quanta
ancora fosse da liberare. Dati che sarebbero stati chiariti da studi
successivi e che meritano senz’altro un altro Summit di alto
profilo scientifico. Vibrante
è la raccomandazione degli scienziati affinché le
previsioni probabilistiche siano rese tempestivamente pubbliche,
chiare, leggibili e comprensibili perché la
gente deve conoscere il rischio sismico.
Per far questo è auspicabile l’affermazione di un
Protocollo deontologico tra amministratori, politici, ricercatori e
giornalisti,“per evitare la diffusione di voci di corridoio e
allarmismi ingiustificati”.
Il
G10 è dal 2009 la voce della scienza ufficiale, la fonte
primaria che informa la Protezione civile nazionale alla quale è
demandata la funzione di informare la popolazione sulla situazione
contingente avvalendosi degli strumenti della ricerca. Grazie al
professor Warner Marzocchi convinto assertore “di
un’informazione completa anche se ciò alcune volte
significa ammettere incertezza. È importante chiarire alla
gente come stanno le cose”. Il G10 ha evidenziato altresì
la necessità di un pubblico Bollettino del Rischio Sismico,
giuridicamente vincolante anche per il Legislatore e la Pubblica
Amministrazione, che periodicamente grazie agli scienziati della
commissione informi la Protezione civile italiana. “L’Ingv
ha fornito e sta fornendo con continuità previsioni
probabilistiche di lungo e di breve termine. Con le previsioni
probabilistiche di lungo-termine – ricorda Marzocchi – si
possono identificare (e già lo si è fatto) le aree dove
avverranno i grandi terremoti del futuro. Di particolare rilevanza in
questo ambito è la mappa di pericolosità elaborata
dall’Ingv nel 2004 (http://zonesismiche.mi.ingv.it/)
che fornisce lo scuotimento del terreno atteso nei prossimi 50 anni”.
Dalla mappa appare
evidente la zona colpita dal terremoto:
è quella dove ci si aspettavano alti valori di scuotimento del
terreno. In generale, questo tipo di studi permette di definire
opportuni criteri di costruzione anti-sisimica (a tal proposito, se
oggi tali procedure si seguissero alla lettera, la previsione dei
terremoti sarebbe di scarsa utilità, poiché i crolli
sarebbero minimi)”.
Per quanto
riguarda le previsioni probabilistiche di lungo termine
dell’occorrenza dei grandi terremoti, “dal 2005 esiste
una pagina web
(http://www.bo.ingv.it/~earthquake/ITALY/forecasting/M5.5+/)
dove vengono fornite stime di probabilità di occorrenza di
eventi con magnitudo 5.5 o maggiore in un intervallo di tempo di 10
anni. Essendo time-dependent,
le
mappe vengono aggiornate ogni 1° Gennaio
e dopo ogni evento con magnitudo 5.5 o maggiore. Nella sezione
Results
della pagina web si vede che la zona dove è avvenuto il
terremoto aveva la sesta più alta probabilità su 61
zone (di cui 34 con probabilità non trascurabili; mappa A). Se
si guarda la densità spaziale di probabilità (mappa B),
la zona interessata aveva la seconda più alta densità
di probabilità su una griglia con 51 nodi”. Altri studi
compiuti di recente sullo stesso argomento nell’ambito della
convenzione 2004-2006 tra l’Ingv e il Dipartimento della
Protezione Civile (Progetto ”Valutazione del potenziale
sismogenetico e probabilità dei forti terremoti in Italia”)
hanno mostrato risultati analoghi. “Anche questi studi che
hanno utilizzato modelli di occorrenza dei terremoti del tutto
diversi da quelli utilizzati per gli studi appena descritti, hanno
identificato l’area di L’Aquila come una di quelle a più
alta probabilità di occorrenza di un terremoto distruttivo”
– rivela Marzocchi. I risultati presentati al recente convegno
della European
Geosciences Union
in una sessione speciale dedicata al terremoto dell’Abruzzo,
hanno riscosso un notevole successo.
Un’altra
iniziativa importante in cui l’Ingv è attualmente
coinvolto è il progetto internazionale CSEP (Collaboratory
Studies for Earthquake Predictability; http://www.cseptesting.org,
http://us.cseptesting.org,
http://eu.cseptesting.org).
Che nasce allo scopo di definire un
esperimento scientifico per la verifica e il confronto dei diversi
modelli di previsione probabilistica e deterministica dei terremoti.
Tali analisi e confronti sono effettuati in un centro (Testing
Center) dove tutti
i modelli vengono utilizzati per produrre previsioni
indipendentemente dagli autori dei modelli stessi. “Le nostre
previsioni sono “vere” previsioni – spiega
Marzocchi – in quanto i dati utilizzati per il confronto sono i
terremoti futuri dell’area investigata (il cosiddetto Natural
Laboratory)”.
I Natural
Laboratories attivi
finora sono la California, la Nuova Zelanda, l’Italia, il
Giappone, il Pacifico Occidentale e il globo nel suo complesso. “È
importante sottolineare che il confronto tra i modelli viene fatto
NON in tempo reale (per avere a disposizione i cataloghi ufficiali è
necessario aspettare qualche settimana o pochi mesi). Ciò non
è un problema per CSEP poiché lo scopo dell’esperimento
rimane scientifico. Alla fine del periodo di test (di solito è
di 5 anni), l’esperimento si conclude con una “classifica”
dei modelli che si sono comportati meglio nella propria classe di
previsione. Di particolare interesse sarà anche il confronto
tra le classifiche stilate per tutti i Natural Laboratories per
vedere se sono sempre gli stessi modelli ad avere le capacità
previsionali migliori.
L’esperimento
nel territorio italiano è condotto per diverse classi di
previsione:
1) previsione giornaliera per terremoti di
magnitudo superiore a 4 gradi;
2) previsione
trimestrale per eventi di magnitudo superiore a 5 gradi;
3)
previsione quinquennale per eventi di magnitudo superiore a 5
gradi”.
I ricercatori Ingv hanno
già presentato modelli di previsione probabilistica per la
California, la Nuova Zelanda, il Pacifico Occidentale e il mondo.
Tuttavia, non dimentichiamo che molti fattori complicano le sequenze
sismiche, incluse le complesse geometrie di rottura nella faglia, la
natura caotica dei processi di rottura, le variazioni delle forze in
atto nelle faglie. Le variabili sono e saranno sempre tantissime. Nel
frattempo Jaume
Dinares-Turell e Micol Todesco, ricercatori Ingv, sono stati
selezionati "Exceptional Reviewers" (GSA Bulletin) dalla
Geological Society of America, come si legge nell’ultimo
numero della rivista
GSA Today (http://www.geosociety.org/gsatoday/).
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